“Ti ho mandato l’invitation per partecipare all’aula”
“Su quale piattaforma sarà il corso?”
“Sono in sala d’attesa, qualcuno mi ammette?”
“Per condividere lo schermo necessito del ruolo di organizzatore?”
“Mi sentite? Mi vedete”?
….”Ti sei frizzata/o!”
Sono passati solo otto mesi e il nostro vocabolario professionale si è arricchito di neologismi e di nuovi modi di dire: e se è vero che il linguaggio crea la realtà e viceversa, è evidente come la realtà di chi come noi si occupa di Formazione si sia trasformata con una velocità che nessuno avrebbe potuto pre-vedere.
…E sono bastate poche ore con altre persone connesse contemporaneamente da diverse città d’Italia per cancellare paure e dubbi, e convertire la nostra prudente cautela in uno stupito entusiasmo: non solo “Si può fare!”, ma si può fare anche molto bene!
Si può fare bene se sai come farlo: la chiave sta nel riuscire a rendere gli spazi virtuali degli spazi umani, le piattaforme digitali dei ponti tra luoghi fisici distanti.
Come?
- Una nétiquette precisa e condivisa in apertura: microfoni spenti se non si parla ma webcam accesa per mantenere un contatto visivo e per non perdere la ricchezza di sfumature del linguaggio non verbale;
- Tempi “sostenibili”: impensabile pensare di tenere i partecipanti seduti davanti allo schermo per 8 ore (durata tipica di una giornata di aula in presenza), ma delle buone soluzioni sono spezzare la giornata in due mezze giornate con qualche giorno di distanza, oppure ridurre la sessione a 6 ore circa;
- Pause frequenti e su richiesta: prevedere pause caffè più lunghe del solito di almeno 20 minuti ed essere aperti e flessibili di fronte alle esigenze dei partecipanti;
- Coinvolgimento attivo dei partecipanti e alta interazione tra loro: no alla modalità webinar o corso teorico, che non fa che accrescere le distanze, sì a laboratori dinamici fondati sullo scambio reciproco, riflessioni in sottogruppi di lavoro (resi possibili grazie alle stanze private che ormai quasi tutte le piattaforme offrono!) e gamification;
- Paraverbale del coach intimista e “sussurrato”: un approccio adeguato a “entrare nelle case” dei partecipanti, che li accompagni con delicatezza a scendere in profondità delle tematiche, a farsi domande e a dedicarsi uno spazio di pensiero protetto e più agevole (soprattutto per i più timidi e riservati) rispetto ai banchi di un’aula di formazione.
Questi mesi ci hanno insegnato che le relazioni a distanza non solo sono possibili, ma che se ci si mette intensità, presenza, intenzione, autentico interesse per l’altro…Possono accadere dinamiche sorprendenti!
Martina Grotto
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