E se da domani tutte le persone del pianeta fossero vittime di uno strano sortilegio che impedisce loro di dire bugie, come sarebbe il mondo? Come cambierebbe la nostra vita?

Il neonato esprime i suoi bisogni attraverso un linguaggio semplice: se sta bene ed è felice sorride, se sta male e prova qualche disagio piange, non ha necessità di fingere. Ma ben presto si accorge che può indirizzare il suo comportamento, rendendolo in parte manipolatorio, ad esempio frignando senza avere una reale necessità, al fine di attirare l’attenzione della mamma, e da qui comincia un percorso che affina sempre più e che lo porterà a diventare un adulto, più o meno abile nel gestire quello che chiameremo “il file della falsità”.

Naturalmente nel bambino questo meccanismo è inconscio e probabilmente ha una motivazione evolutiva per la specie, ma crescendo si può sviluppare un’attitudine più o meno spiccata nel raccontare/raccontarsi bugie, basti pensare che in una sola giornata si dicono circa 4 frottole e si ricevono dalle 10 alle 200 informazioni false.

In sostanza “l’unica verità sembra essere che tutti mentono”.

In questo scenario dalle sfumature poco etiche, nasce la necessità di fare un’analisi sia introspettiva, sia della realtà in cui viviamo, partendo dal presupposto che le dinamiche che accadono nel microcosmo si manifestano anche nel macrocosmo e viceversa, è fondamentale chiedersi da dove nasce questa esigenza e come si può ridimensionare questo fenomeno che riduce i volti in maschere e conduce ad un’esistenza edulcorata e fasulla.

Come sempre la differenza la fa la scelta, che viene generata dalla consapevolezza a sua volta figlia del più grande strumento che l’essere umano ha a disposizione: l’autosservazione.

Iniziamo la nostra analisi partendo dal “mondo esterno” e chiedendoci cosa spinge le grandi aziende e i grandi media a trasmettere informazioni spesso opinabili o quanto meno veritiere solo da alcuni punti di vista.

La risposta si palesa davanti agli occhi più o meno aperti del lettore o del telespettatore che in realtà altro non è che un consumatore. Attraverso strategie di marketing, menti brillanti sanno bene come stimolare ad esempio tramite la pubblicità o i social, un acquisto, trasformando il desiderio in un bisogno, in principio indotto e successivamente reale.

Lo scopo quindi è quasi sempre di natura commerciale, economica, finanziaria e di potere.

Ma i grandi colossi sono pur sempre gestiti da persone e quindi l’analisi più interessante si focalizza sul singolo individuo, anche perché non si possono pretendere lealtà, trasparenza e verità, quando queste virtù non vengono coltivate in primis all’interno.

Questo è l’unico passaggio che si può fare per modificare in meglio la realtà in cui viviamo, prima che sia troppo tardi; è il ponte che ogni persona deve attraversare per essere un portatore sano di cambiamento e contribuire ad instaurare quel clima di fiducia fondamentale per l’evoluzione umana.

I motivi che inducono a mentire sono innumerevoli e le sfumature infinite, ad esempio per difendere se stessi, per timidezza, per tutelare la propria privacy, per coprire dei lati che non ci piacerebbe gli altri conoscessero. La maggior parte di essi ha come denominatore comune la paura del giudizio, decisamente esacerbata in questo periodo storico, dove, banale sottolinearlo, “apparire vale più che essere”.

Si è indotti a pensare di dover mostrare una parte di sé che metta in luce solo aspetti considerati positivi, sempre secondo canoni imposti, che trasmettono un’immagine di bellezza, successo e performance. Pensiamo ad esempio ai filtri che si trovano nei moderni schermi, con il compito di far apparire più carini e più giovani. Non è anche questa una forma di menzogna?

Pensiamo a tutte le foto che ritraggono coppie e famiglie che sembrano uscite da un libro di favole e che poi sotto il tappeto, molto spesso, nascondono tradimenti, litigi e incomprensioni.

La radice del problema sta nel desiderio innato di essere accettati e il timore di essere esclusi. Comportamenti comprensibili considerando l’utilizzo spontaneo del cervello rettiliano, che tutela la vita del singolo, basando i suoi meccanismi sulla paura, e del cervello limbico, che sprona a vivere nella comunità a tutela della specie, considerando prioritario l’adattamento alle esigenze del gruppo, con il rischio di doversi conformare per il timore di ritrovarsi soli.

Il passaggio fondamentale invece, sarebbe quello di prendere consapevolezza di questi meccanismi e provare a utilizzare maggiormente il cervello neocorticale, l’ultimo sviluppato nell’essere umano, che consente di esprimere il proprio essere profondo, la propria individualità e dispensa il reale senso di felicità.

Facendo un lavoro su di sé per convogliare i pensieri su questo “terzo piano”, si attiva un processo alkemico che trasforma il piombo della menzogna, nell’oro della verità e aiuta a vivere più leggeri, sereni e in sintonia con sé stessi.

Come fare allora ad uscire da questo meccanismo perverso e lasciare sempre meno spazio nel nostro data base al file della falsità?

Per semplificare potremmo suddividere il processo in tre fasi:

  1. Accorgersi di aver detto una bugia e riflettere sui motivi che hanno spinto a questo. Spesso lo si fa in buona fede, come se si fosse generato un automatismo; è troppo tardi per recuperare ma è il primo passo verso il cambiamento.

 

  1. Accorgersi che si sta dicendo una bugia in quel momento. Ritrattando si potrebbe generare disagio anche nell’interlocutore, ma si può provare a elaborare la frase in modo tale che si possa trasformare in una “mezza verità”.

 

  1. Accorgersi che si vorrebbe dire una bugia e censurarsi prima che il pensiero passi dalla mente alla bocca. E’ lo step più difficile perché è necessario essere realmente “presenti a se stessi”, mettersi in discussione e sganciarsi da un meccanismo che genera un circolo vizioso.

 

Il traguardo finale si raggiunge con l’esercizio, la volontà e la consapevolezza che esprimere realmente ciò che si pensa e mostrarsi come si è, conduce ad una vita più sana, vera e leggera.

Come in altri aspetti della vita sulla quale si vuole lavorare per evolvere, anche in questo è fondamentale attivare quello che viene definito “l’osservatore esterno”, una parte di noi che permette di analizzare le situazioni in modo oggettivo, come farebbe uno scienziato di laboratorio, scevro da condizionamenti e pregiudizi.

Un ulteriore passaggio da fare e quello di smetterla di giustificarsi e entrare nell’ottica che l’unica persona alla quale dobbiamo dare realmente conto siamo noi.

Se ci si esprime in maniera assertiva, con fermezza e gentilezza, non si ha nulla da temere e la trasparenza diventerà un valore apprezzato anche dagli altri.

Non bisogna però inciampare nell’errore opposto e voler essere sinceri indiscriminatamente sempre con chiunque, perché il rischio è quello di ferire inutilmente qualcuno. È sufficiente seguire la regola di non dare consigli e non esprimere opinioni quando non chiesto esplicitamente, e ad ogni modo farlo con garbo, sulla base del fatto che ognuno ha i propri gusti e le proprie opinioni, ed è questa la discriminante che ci rende speciali e unici.

Immaginare un mondo in cui le persone dicono solo verità, al momento non solo è utopistico ma sembra generare uno scenario fantascientifico. Provare a generare un piccolo cambiamento in ognuno è invece fattibile, stimolando un effetto domino di cui potranno godere le future generazioni.