L’utilizzo del cinema nella formazione ha a che vedere in prima istanza col piacere. Contingenza quanto più necessaria nelle dinamiche di apprendimento comportamentale, che portano a “giocare” nell’aula. Un canale binario che avvicina il formatore e formandi. Questo, però, è sufficiente per passare alcune ore della giornata in modo gradevole, ma non basta assolutamente per fare formazione. La presenza del piacere è certamente l’elemento che porta all’utilizzo del mezzo, non il suo fine. Nella seduzione cinematografica vi è quella capacità di suscitare un’attrazione viva o addirittura irresistibile. Certo però che questa seduzione non deve cedere tout court al bisogno di consenso di un mondo organizzativo che fugge dallo sforzo dell’apprendimento, preoccupandosi di incantare in collusione con le resistenze a cambiare, cercando la novità, l’emozione per poter solo piacere.

Ma allora perché il cinema è così efficace nella formazione? Ogni inquadratura di un film è un condensato di informazioni che si dà al pubblico. Nulla di quello che è possibile fare in aula può sintetizzare così tante cose in così poco tempo. Ognuno dei partecipanti legge quelle informazioni, le assimila, le confronta con ciò che è stato detto o sarà detto in aula. In definitiva è un hic et nunc su schermo che rende partecipi tutti di un linguaggio comune.

Il cinema è evento, è rappresentazione, è concentrazione di accadimenti e trasmissione di esperienze allo stesso tempo.  “Il film è un testo culturale” nei cui fotogrammi è inserito l’intero ventaglio dei comportamenti umani, che vengono proposti al pubblico in unità narrative definite e distinte, che sono ben lontani dalla realtà oggettiva  dei fatti, ma ne rappresentano il serbatoio simbolico. Il cinema richiama quindi la facoltà di immaginare, stimola lo spettatore all’evocazione. L’apprendimento avviene quando il formando prova alcune sensazioni dei personaggi rappresentati e le trasferisce nella sua situazione, la sua realtà.

La semiotica rappresentata sullo schermo diventa un contenitore traboccante di materiale in cui riflettersi. Tale processo (semiosi) è concepito da Morris come un “rendersi conto mediatamente di qualcosa da parte di qualcuno”. Avviene una relazione triadica tra l’interprete, che non è l’attore che recita sullo schermo, ma è il partecipante del corso che si ripensa attraverso lo schermo; il veicolo segnico: il cinema; e il designatum, che diventa oggetto di analisi da parte dell’interprete. E’ questo designatum il prodotto finale su cui il formatore può lavorare e dare senso allo studio successivo.

Il cinema è stato definito come “una finestra che guarda sul mondo”, ma probabilmente l’accezione più vicina all’ottica formativa è “una finestra che guarda sul nostro mondo”. Cioè un apertura dove guardare per guardarsi e quindi in definitiva per acquisire maggiore consapevolezza e da qui svilupparsi.

Roberto Zintl