Spesso ho occasione di recarmi a Roma per lavoro, ma raramente riesco a concedermi il piacere di visitare i suoi splendidi siti. Pochi giorni fa senza pensare troppo razionalmente alle due dimensioni del tempo (quello avverso che avrei dovuto affrontare e quello di lavoro che avrei dovuto investire), spinto solo da emozioni e desiderio mi sono recato ai Musei Vaticani dove ho ri-ammirato la Cappella Sistina di Michelangelo.

Questa magnificenza ha risuonato in me nel mio modo di operare questa scelta. Sembra che l’intenzione dell’artista fosse proprio quella di rappresentare degli stati d’animo, delle tensioni dello spirito. Non a caso spersonalizzava le figure in modo che lo spettatore potesse immedesimarsi meglio. Attraverso il sublime voleva attirare le emozioni più forti, gli aspetti irrazionali dell’arte, proprio quegli elementi che il neoclassicismo aveva messo al bando in nome della razionalità e dell’equilibrio. Riconosceva al sublime il potere di eccitare le passioni e i pensieri più arditi, fino a raggiungere un livello violento ed entusiastico. Lo caratterizzavano il riconoscimento della “irregolarità” del genio, contrapposta alla mediocrità della correttezza che è tale solo perché si conforma alle regole.

Michelangelo fa emozionare la pietra. Le sue sculture riescono a turbare come se trasportassero il suo sentire, attraverso una maniacale attenzione al dettaglio, che permette all’emozione di diventare forza comunicativa. Un aneddoto ricorda che Michelangelo si trovava di fronte ad un blocco di marmo quando gli chiesero che cosa stesse facendo. La sua risposta immediata fu di stupore: “ma come non vedi che sto creando?” Il sentire in contrapposizione al fare. Il vedere in contrapposizione all’agire.

Perché è importante saper ascoltare le emozioni quando dobbiamo prendere una decisione? Perché è necessario evitare di razionalizzare ogni nostra azione? Quando ascoltiamo profondamente le nostre emozioni non riusciamo ad agire. Siamo immobili in fase di ricezione. A volte soffermarci su queste può essere una situazione di dolore o disagio, ma avere un rapporto solitario con esse ci fa utilizzare una parte significativa del nostro pensiero.

Le emozioni sono state per molto tempo erroneamente considerate un ostacolo al lavoro, così come l’arte di Michelangelo, incomprese nei periodi di eccessiva razionalizzazione. Non contemplate, escluse dalla vita organizzativa. E’ ovvio che l’emotività giochi un ruolo fondamentale nella produttività di un’azienda. Siamo umani nel nostro sentire e provare emozioni all’interno di qualsiasi ruolo. Non possiamo confondere il controllo delle emozioni che fa parte dell’essere in un determinato contesto, con l’a-emozionalità. Non solo, ma la genialità degli italiani nel mondo del lavoro si basa soprattutto sulla creatività guidata dalla passione.

Diventa utile focalizzarsi solo sulle emozioni quasi come se dovessimo creare una scultura o un quadro che le rappresenti. Dobbiamo provare a dare un nome, una rappresentazione a sensazioni che non ci dicono cosa vediamo, ma che ci danno informazioni utili su come vediamo. Non sempre però è così semplice individuare qual è l’emozione che stiamo sentendo, in quanto complessa, articolata, non evidente. La psico-socioanalisi consiglia di “sostare nell’incertezza”, cioè anziché rimuovere quell’emozione dimenticandola, provare a registrarla per darle un significato o riconoscerla in un momento futuro.

Solitamente quando provi rabbia o irritazione come ti comporti? Agisci di impulso, cerchi di dimenticarne le cause, di comprenderne il perché? Dopo un conflitto ti soffermi a pensare a come hai comunicato oltre che alle parole che hai utilizzato? Quando espliciti le tue emozioni ai tuoi colleghi? Nei momenti positivi o negativi? Lasciar spazio alle emozioni ti consente di portare alla luce aspetti che possono condizionare il successo di un processo decisionale. A volte prova a seguire e comunicare le emozioni che vivi senza preoccupazione della loro ragionevolezza.

Roberto Zintl